La vita è il mio viaggio. L'amore ne è meta, bagaglio, percorso.



PoesieRacconti

Le visite a questo blog sono state...

venerdì 30 luglio 2010

FUOCHI D'ARTIFICIO, di Simona Lo Iacono


I pochi gesti che compio stamattina non hanno niente a che fare col buio. Sono gesti intagliati in un sole che assorbe tutto.
Apro il balcone mentre alle mie spalle lei dorme ancora. Conosco la piega che prende il lenzuolo tra i due seni, l’arsura che le si incolla sulle gambe e le fa spostare il ginocchio in su. Non ha mai saputo che la osservo per ore mentre dorme, e neanche i miei figli lo sanno, perché il sonno è un segreto che può violare solo chi ama, ma di nascosto, senza farsene accorgere. Sarebbe come rubare l’anima mentre si acquatta e impigrisce, e io non ho mai saputo sottrarre niente a nessuno. Non ora, poi, che la notte è un nemico che mi inchioda solo poche ore, e insiste a trasformarsi in una veglia perpetua e piangente, che consumo bevendo caffè, lucidando i ricordi e assestando gli ultimi colpi a queste carte.
Nei primi tempi le impilavo ovunque, in spiaggia, tra le sdraio che lei ha sempre voluto di fronte, a specchio, per guardarmi lavorare. E in bagno, dove lasciavo che la sigaretta mi pencolasse consumandosi da sola, sbriciolando cenere e saliva. Poi, col tempo, ho preso a selezionare. Pochi documenti, scelti col fiuto di un presentimento.
Ma questa mattina non cederò ai presentimenti. Scenderò in mare con la barca. Slitterò piano sulle onde.
Il giornale lo comprerò prima. All’edicola sotto casa, da solo.
Non voglio che i ragazzi mi accompagnino. Fa caldo, ed è una bella domenica. Che stiano a letto ancora un’ora.
Citofoneranno alle nove, come al solito. E come al solito vedrò avvitarsi sulla mia ombra la loro, tesa come un legaccio.
Li osservo cingermi a cerchio, fare scudo sul niente.
La calma ci fa paura più di ogni altra cosa, più del traffico che esplode a mezzogiorno, o più dell’autostrada che cuoce imbrumandosi di un odore greve, di spazzatura.
A volte ne ridiamo. Fingiamo di essere sulla volante solo per gioco, o per una vacanza, dice qualcuno. E se la sirena urge sul cielo, ci cantiamo sopra, azzardiamo una barzelletta.
Siamo bravi a distrarre la morte.
Giovanni ci sapeva fare più di ogni altro. Non faceva scongiuri ma sosteneva con una punta di orgoglio che nessuno, ormai, muore così. Coi fuochi d’artificio che bombardano l’aria. E intanto accarezzava la borsa porta documenti, faceva schioccare la serratura con due dita. Salta in un secondo, diceva. Ma non rideva più.
La barca è pronta. Solo un giro nel porto ho detto, ma seguendo i gabbiani che si inarcano verso gli scogli. Voglio vederli planare.
Intanto a casa le melanzane friggono sull’olio. Lei sa rosolarle perfettamente, lasciando che la crosta che le circonda crocchi tra le labbra. Mi ama silenziosamente questa donna china sulla padella, che non chiede niente se non vedermi tornare.
La cingo da dietro e le bacio la nuca, i resti delle melanzane ancora tra i denti.
Vado a riposare, le dico, e nel sorriso che adesso copre coi capelli, leggo tutti questi anni. Ti sveglio alle quattro, risponde. E io sussulto. E’ come se contasse alla rovescia.
L’ultimo abbraccio glielo do sull’uscio di casa. I ragazzi già mi aspettano con la portiera aperta, le pistole d’ordinanza sotto le camicie estive.
Bacio di fretta anche i miei figli perché ultimamente so che il tempo è spigoloso, tende trappole e salta segnali.
E poi. Mia madre mi aspetta. Avrà messo la vestina nera, come la chiama lei. Le calze, anche se è luglio.
L’agente scelto mi dice: aspetti dottore, lei rimanga qui che citofono io.
Mia madre è pronta già da mezz’ora, e posso quasi vederla rispondere sì scendo, tremare un poco sulle gambe, sovrapporsi al viso di mia moglie, e dei miei figli, i loro occhi che inondano adesso questa macchina, le melanzane che ballano sull’olio, la barca che pedina gabbiani.
Allora è vero, era un conto alla rovescia, anche se non è come immaginavo, non è un boato, piuttosto un respiro lungo a scuoterci, e lapilli che infestano l’aria, e poi i balconi delle case, e l’agente scelto che viene spinto in avanti, mentre di tutto quello che credevo di ricordare non resta che questa stanchezza forse un po’ perplessa e triste, nomi, una data, un luogo, fuochi d’artificio, come diceva Giovanni.

Via D’Amelio, 19 Luglio 1992. Paolo Borsellino.
.
Brano di Simona Lo Iacono tratto dal blog di Massimo Maugeri, LETTERATTITUDINE
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/07/18/memoria-e-coscienza-civile/#more-2320
.
Scrive poi Simona Lo Iacono:
"Andò proprio così: volle scendere in barca a fare un giro prima che la spiaggia si affollasse. Volle comprare il giornale da solo senza avvertire la scorta, perchè i “suoi” ragazzi potessero riposare almeno la domenica. Volle accompagnare la madre e andarla a prendere personalmente sotto casa. Baciò sua moglie e lei, vedendolo andare con la borsa porta documenti gli disse: sembri Giovanni. Fece tutto sapendo che il tempo gli forzava addosso i suoi battiti, che la paura che rotolava sulle costole e fra l’arsura dell’assolatissima canicola di luglio non poteva più essere ingannata da alcuna tregua. Scelse di amare la sua famiglia normalmente, incidendo nella memoria questi gesti, gli ultimi, quelli che sono sopravvissuti a tutto e che - per questo - posso raccontare. Questo resoconto è il frutto di coloro che sono sopravvissuti, dell’agente che si salvò perchè volle andare a citofonare alla madre di Borsellino e risparmiare al “suo”giudice quella discesa dalla macchina, solitaria e pericolosa. Della moglie che rammentò la sua ultima traversata in barca. Dell’amico che con lui spianò alla chiglia dello scafo una strada, un frammento di pace e ristoro. Un dono, un piccolissimo dono di quiete.Ecco. Forse la memoria può nutrirsi anche di cose così. Di desideri su appannanti scirocchi, di baci non dati, di addii preannunciati e finanche di melanzane che ballano sull’olio trasudando una quotidianità pronta a spezzarsi, già sulla soglia. Può nutrirsi dei pensieri su un figlio che dorme, su una donna amata che sa aspettare, su carte impilate malamente e su processi accatastati tra la polvere di fascicoli. Forse la memoria è questo pietoso resto che non si rassegna a morire."
.
.
Simona Lo Iacono è magistrato presso il Tribunale di Siracusa. Il suo primo romanzo Tu non dici parole (Giulio Perrone, 2009) ha vinto il premio Vittorini opera prima.
E’ animatrice nella sua casa di un “salotto letterario”, in cui riunisce scrittori e artisti. Tiene inoltre conferenze sul rapporto tra Diritto e Letteratura.

(Note biografiche tratte da http://www.loschiaffo.org)
.

Nessun commento:

Posta un commento